L’Importanza della Squadra in Tempi di COVID - Karakter Coaching School

L’Importanza della Squadra in Tempi di COVID

Prima di iniziare a scrivere quest’articolo, mi sono più volte domandato come avrei potuto farlo senza che al lettore gli venisse subito da pensare “il solito articolo sul team Coaching”.

L’ispirazione l’ho avuta dopo che ho letto un posto pubblicato su Linkedin da una cara amica, che voglio condividere e utilizzare come punto di partenza per una riflessione.

Ho firmato la mia lettera di assunzione una settimana prima dell’adozione dello smart working in azienda causa pandemia. Se mi avessero detto che avrei imparato a lavorare tra una call e l’altra, a tirare fuori idee senza una pausa caffè condivisa, a conoscere nuovi colleghi con un sorriso accendendo la webcam non ci avrei mai creduto. Ho anche imparato a fare respiri profondi, a fare una passeggiata per staccare e a riflettere sul fatto che tutto ciò era possibile solo grazie alla presenza di una squadra.

Come non riflettere sulla frase finale, “… grazie alla presenza di una squadra, in questa frase c’è tutto quanto serve per continuare a sottolineare quanto è importante il valore aggiunto che dà una squadra. 

La domanda successiva da porsi è, come questa squadra lo ha reso possibile, ma soprattutto, come lei ha fatto in modo che la squadra la facesse subito sentire parte di qualcosa e non solo un nuovo dipendete.

Come entrare in un team

Quando entriamo in una nuova squadra, a lavoro, come nello sport, dobbiamo prima di tutto metterci a disposizione della squadra e non pretendere o pensare che siano gli altri a farlo per noi, anche se siamo in presenza del fenomeno di turno: se non dai non puoi pensare di ricevere.

È necessario che i valori del singolo siano allineati con i valori della squadra, dobbiamo essere il più flessibili possibile, ancor più se tra me e i miei compagni di squadra, oltre ai filtri che siamo normalmente portati ad avere nei confronti delle cose e delle persone che non conosciamo, c’è uno schermo che non ci permette un confronto pulito. Non siamo in grado di vedere i nostri interlocutori nella loro interezza e, cosa ancora più importante, non possiamo vedere le persone negli occhi. Noi possiamo provare a farlo ma è solo un’illusione, non sappiamo dove la stessa persona rivolge il suo sguardo quindi, è necessario che utilizzare di più il senso dell’udito, per carpire meglio i toni di voce ai quali spesso non diamo importanza.

Quando abbiamo imparato a confrontarci e a condividere i valori della squadra, dobbiamo sapere quali sono i ruoli all’interno della stessa, essere conviti del ruolo assegnato, e responsabili nel portare avanti le azioni che quel ruolo comporta. La responsabilità è un valore che troppe volte è stato sottovalutato.

Infine, dobbiamo essere certi di conoscere gli obiettivi che la squadra deve portare a termine, in quali tempi, in che modo e quale parte dell’obiettivo ogni componente della squadra è responsabile. Io sono responsabile della mia parte e devo fidarmi del fatto che i miei colleghi portino avanti il loro. Qui abbiamo introdotto un altro concetto, quello della fiducia reciproca, io devo pensare al mio in funzione degli altri, ma non devo e non posso pensare al lavoro di tutti.

Smart working e team working

Quindi, lavorare in smart working ci ha reso sicuramente più responsabili, prima di tutto del nostro lavoro e di conseguenza più responsabili nel confronto degli altri, non è importante il mio lavoro in quanto tale ma in quanto parte di un tutto, lo potrei definire un puzzle condiviso. Tutto questo ci ha reso più fiduciosi sulle nostre capacità e su quelle degli altri.

Ma c’è anche un rovescio della medaglia, chi non si assume le sue responsabilità, chi non dimostra e non fa sentire la propria fiducia, non ha più un ufficio per nascondersi, è tutto molto più semplice, o sei online ti fai vedere e contribuisci al risultato o sei fuori. Lo smart working è molto più selettivo e cinico di quanto si possa pensare. 

Di diverso c’è quindi anche la condivisione, non possiamo più bussare alla porta del collega, presentarci alla sua scrivania per chiedere un consiglio, un parere e nessuno viene a cercare noi. Per tanti questi modi di fare, di condividere, di agire rappresentava il concetto di “andare al lavoro”. Oggi si va a lavoro quando si accende il pc dalla cucina di casa, dal salotto, per i più fortunati dalla stanza che a casa propria hanno dedicato a ufficio.

È qui che torna la squadra, l’attesa di quel momento in cui si accende la telecamera e sul monitor del pc iniziano ad apparire i volti dei nostri colleghi, quelle stanze virtuali che oggi sono diventate le sale riunioni, quelle presentazioni condivise sul monitor che hanno rimpiazzato i proiettori negli uffici, le cartelle condivise sul web che hanno rimpiazzato cassetti e armadi piani di carte.

Tra colleghi ci si racconta cosa si fa di diverso in casa per affrontare questi momenti, c’è chi racconta della camminata fatta di prima mattina che ha rimpiazzato il tempo trascorso in macchina per raggiungere l’ufficio, chi ha ripreso a studiare per approfondire un qualcosa che non aveva più avuto il tempo di fare e così via. Si condivide come utilizzare il nuovo tempo a nostra disposizione e si prendono spunti per fare qualcosa di nuovo, di diverso, nuove abitudini.

L’importanza del coaching durante lo smart working

Quindi la squadra in tempo di COVID a cosa serve? Serve a rendere il cambiamento più accettabile da parte di ogni suo componente e a permettere all’intero sistema di andare avanti nella sua evoluzione. Mi piace pensare che questa pandemia nella sua drammaticità, è stato un acceleratore del sistema, che ci ha portato un attimo nel nuovo millennio non soltanto perché è cambiata la data nel calendario. 

Volendo estendere questo concetto rispetto al lavoro di un coach professionista in ambito di team, quest’ultimo ha il compito di accompagnare i diversi membri della squadra a questa nuova ambientazione virtuale, a rendere agile la comunicazione tra i membri del team con l’utilizzo di strumenti che per molti, fino a ieri, erano quantomeno sconosciuti. Dobbiamo fare in modo che i concetti come nuovo, tecnologico, agile, flessibile, diventino patrimonio di tutti.

Dobbiamo fare in modo che le aziende, in quanto contenitore di gruppi e gruppo a sua volta, si rendano protagoniste della diffusione di questa nuova cultura, che mettano a disposizione dei loro dipendenti oltre che gli strumenti le piattaforme tecnologiche e di comunicazione, anche dei momenti formativi che permettano a tutti di utilizzarli e di non farli sentire lontani. Non si può dare per scontato che tutti siano pronti ad affrontare quel mare magnum chiamato web, molti al solo pensiero sono spaventati.

In questo periodo, più che mai abbiamo bisogno di facilitatori, di leader coach, che sanno ascoltare, che sanno assegnare compiti ai propri collaboratori, che sappiano responsabilizzare e delegare, non comandare ma coordinare.  Chi non lavora in squadra è fuori dai giochi, spesso si sente un pesce fuor d’acqua, e solo un vero lavoro di squadra gli può permettere di tornare a vivere in mezzo al mare.


Walter Bolognesi

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