Le difficoltà che si incontrano nel diventare un buon coach - Karakter Coaching School

Le difficoltà che si incontrano nel diventare un buon coach

1. Ascoltare attivamente l’altro 

La presenza nel coaching significa prima di tutto essere concentrato con tutti i nostri sensi in ciò che il cliente sta dicendo. Non è una cosa a cui siamo abituati al contrario spesso ci facciamo distrarre dai nostri pensieri. Avete presente quando non ricordiamo il nome di una persona che magari ce l’ha appena detto? La giustificazione il più delle volte è “Non ho memoria per i nomi”. Ma è davvero così? Nella maggior parte dei casi non lo ricordiamo perché non lo abbiamo ascoltato veramente mentre eravamo distratti a ripetere a mente il nostro di nome, per poterci presentare al meglio. Quindi è mancato un ascolto attivo perché manca quello che io chiamo “Approccio attivo” che significa prepararsi per essere attenti all’altro e dirsi prima di iniziare qualsiasi comunicazione: “Io voglio ascoltare questa persona” “Io voglio ricordarmi il suo nome” “Io voglio prestare attenzione all’altro.” E allo stesso tempo far tacere la nostra vocina interiore “Ora stai zitto e ascolta” “Scio’” 

2. Sospendere i giudizi 

L’abitudine è quella di giudicare buono o sbagliato e attribuire una nostra visione all’esperienza dell’altro e iniziamo a farci un film su ciò che l’altro sta vivendo e a dedurre che la cosa migliore per lui potrebbe essere questa oppure quella. Tutto questo lo facciamo in modo automatico e in base alla nostra esperienza o a cose che ci sono state dette. Ma è davvero utile? Se giudichiamo non possiamo essere neutri e comprendere davvero l’altro e rischiamo anche di prendere strade sbagliate nel percorso di coaching anche perché ciò che ha funzionato per te non è detto che funzioni per lui/lei o che sia ciò che davvero vuole. Io dico sempre di visualizzare un foglio bianco prima di ogni incontro su cui la persona può scrivere la sua storia. 

3. Evitare i consigli 

Siamo tutti bravi con la vita degli altri ma quando si tratta della nostra diventiamo incapaci di scegliere ciò che è meglio per noi poiché siamo coinvolti e poco obiettivi. Il consiglio a chi serve? Vogliamo aiutare l’altro fornendo una soluzione ma l’unico che può davvero sapere cosa è meglio fare è proprio lui perché è il solo esperto della sua vita. Il consiglio fa sentire bene chi lo da non chi lo riceve, che il più delle volte se lo ascolta comunque poi non lo segue. E ammesso pure che il coach serva la soluzione al cliente su un piatto d’argento chi si sentirà bravo e soddisfatto di sé stesso? La persona penserà di avere un bravo coach ma non si sentirà bravo e non scoprirà le sue risorse interne e soprattutto non sarà mai indipendente. Se una persona cade e il coach lo rialza di peso cosa accadrà la prossima volta che ricade? Avrà sempre bisogno di qualcuno che lo aiuti a rimettersi in piedi. Quindi non dare consigli ma fare domande aperte che aiutino la persona a trovare la soluzione che può in questo modo affiorare da lui stesso. 

In definitiva la cosa più difficile è mettere al centro l’altro anziché noi e quindi per ascoltare senza giudizi né consigli devi dimenticarti di te e lasciare a casa e fuori da quella comunicazione chi sei e focalizzarti solo su chi c’è davanti a te. 

UN GRANDE COACH FA SENTIRE GRANDI GLI ALTRI! 

Alessandra Abbattista

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